Lo scorso 20 marzo il presidente turco Tayyip Recep Erdogan ha deciso con un blitz notturno, di ritirare la Turchia dalla “Convenzione di Istanbul”. Si tratta dell‘accordo internazionale “per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili”. Una decisione nefasta quella di Erdogan resa ancor più incredibile dal fatto che proprio la Turchia era stato il primo Paese ad apporre la sua firma nel 2011 seguita da 34 Paesi europei e in tutto il mondo da altri 45. Ma perché la Turchia ha preso questa decisione? Le motivazioni si trovano in un comunicato del direttorato delle Comunicazioni presso la presidenza della Repubblica Turca che ha spiegato come l’accordo internazionale “normalizzerebbe l’omosessualità e danneggerebbe l’unità familiare mettendo a rischio i valori tradizionali del Paese”.
Ogni giorno in Turchia tre donne vengono ammazzate.
Aldilà delle motivazioni addotte è chiaro che il Presidente turco -in costante calo di consensi nel Paese- con questa mossa si leghi sempre più ai gruppi islamisti e ai conservatori turchi da sempre ossessionati dalle donne e dall’omosessualità ma che nulla hanno da dire sul fatto che in Turchia ogni giorno tre donne vengono ammazzate. Non appena si è diffusa la notizia sia l’Unione Europea che il Consiglio d’Europa, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite hanno hanno deplorato la decisione di uscire dell’accordo da parte della Turchia mentre Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito Popolare Repubblicano (CHP), ha fatto sapere che ricorrerà al Consiglio di Stato “contro un decreto che mette a rischio i diritti umani, in particolare i diritti delle donne”; ma le speranze per lui e le donne turche sono ben poche visto che il Sultano di Ankara (così viene ormai chiamato Erdogan) controlla con il pugno di ferro l’intera macchina dello Stato turco, giudici compresi. A coloro che hanno lanciato il grido d’allarme sull’ennesima virata in direzione islamista della Turchia ormai avamposto della Fratellanza musulmana, ha risposto il ministro per la Famiglia Zehra Zumrut Selcuk che ha precisato come i diritti delle donne siano già garantiti nella legislazione nazionale e di come “la carta contro la violenza di genere non ci serve”.
Parole sconfortanti specie se a pronunciarle è una donna con responsabilità di governo, ma questa è la Turchia di oggi dopo “la cura Erdogan”. A proposito della gravissima situazione nelle quali si trovano le donne turche We Will Stop Femicide, una piattaforma impegnata contro il femminicidio, ha reso noto come nel 2020 più di 300 donne siano state assassinate, senza contare le 171 morti “sospette”; mentre il 2021 ha già visto l’omicidio di 74 donne.
Nella settimana che ha visto l’uscita dal trattato internazionale della Turchia sono ricominciate anche le preoccupazioni per lo stato dell’economia dopo il nuovo crollo della lira turca e il conseguente licenziamento in tronco di Naci Abgal, governatore della Banca centrale che ha fatto la fine di altri due suoi colleghi prima di lui. Il Sultano di Ankara, lo ha licenziato dopo che il governatore aveva deciso di alzare di nuovo i tassi di interesse nel disperato tentativo di frenare l’inflazione e tentare di sostenere la lira turca. Al suo posto il Presidente turco ha nominato un fedelissimo, il semisconosciuto professore di economia Sahap Kavcioglu che dovrà provare a raddrizzare le sorti dell’economia turca.
Se si votasse oggi L’AKP non avrebbe la maggioranza
A due anni dalle elezioni (2023) il Presidente turco Tayyip Recep Erdogan e il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (in turco Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP) vivono un drammatico calo di consensi tanto che se si andasse a votare oggi l’AKP e gli alleati del Partito del movimento nazionalista (Mhp), non riuscirebbero a conquistare la maggioranza del 51% che è necessaria per formare il governo. Per evitare di essere mandato a casa dai cittadini turchi esausti dalla costante islamizzazione del Paese, dalla corruzione dilagante nel governo turco ed in particolare quella del gruppo di potere del Presidente e della sua famiglia che vivono come satrapi mentre il popolo arranca, Erdogan e l’AKP sono pronti a qualsiasi cosa: in primo luogo metteranno di nuovo mano alle legge elettorale, ed intanto è già iniziata la nuova stretta sulle opposizioni visto che nelle scorse settimane il procuratore generale –su pressione del governo- ha inoltrato la richiesta per la messa al bando del Partito democratico dei popoli (HDP), filo-curdo, di sinistra e la terza maggiore forza politica della Turchia.
Anche qui a decidere saranno i tribunali (in questo caso la Corte costituzionale) mentre il Parlamento ora deve decidere sulla privazione del seggio di un altro avversario di Erdogan, l’attivista per i diritti umani Ömer Faruk Gergerlioğlu, già vittima della persecuzione politica ancora in corso nel paese dopo “il golpe di cartone” del 2016. Se Tayyip Recep Erdogan dovesse riuscire a mettere fuorilegge l’HDP, allora sarebbe l’ottavo partito filo-curdo ad essere messo al bando per il suo presunto coinvolgimento in attività “terroristiche”. Mentre continua il corteggiamento da parte di Erdogan verso i gruppi islamisti, infatti, nonostante la pandemia che vede oltre 2,4 milioni di casi (nono paese al mondo e il primo del Mediterraneo allargato per numero di contagi da Sars Cov- 2) non consenta eventi pubblici, la comunità fondamentalista islamica Milli Görüs (Punto di vista Nazionale- IGMG) non ha rinunciato al suo evento globale Önden Gidenler, con il quale ha reso omaggio “alle personalità che hanno seguito la via del Messaggero di Allah e quindi diventarono pionieri “. Ad essere particolarmente onorato è stato il fondatore del movimento e maestro politico di Tayyip Recep Erdogan, l’ex primo ministro Necmettin Erbakan (29 ottobre 1926 – Ankara, 27 febbraio 2011), che venne deposto dalla Forze armate nel 1980 a causa delle deriva islamista che intendeva far prendere alla Turchia.
Oggi Milli Görüs è presente in ogni Paese europeo dove si trovano comunità di immigrati turchi ed è particolarmente attivo in Germania, Austria, Francia, Paesi Bassi, Italia e altri Paesi europei, tanto che i suoi membri sono più di 500.000 impegnati nella de-secolarizzazione dei loro connazionali in favore della riscoperta dell’islam e delle tradizioni turche.Il mantra è quello evocato da Tayyip Recep Erdogan che ha più volte ricordato come “i cittadini turchi all’estero non devono integrarsi nel Paese in cui vivono”. Se il feroce antisemita Erbakan è morto ormai da dieci anni l’allievo Erdogan è riuscito dove il suo maestro aveva fallito. Si alzi in piedi chi crede ancora che questa Turchia debba entrare in Europa.
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