La dura decisione è arrivata al termine delle crescenti tensioni tra i due Paesi Emirati: cacciati gli italiani Chiusa la base di al-Minhad ( MDD 11.07.2021)

Lo scorso 2 luglio, nell’imbarazzante silenzio delle Istituzioni, i militari italiani hanno lasciato la Base di al-Minhad, negli Emirati Arabi Uniti. La decisione dell’emiro Khalifa bin Zāyed Āl Nahyān – uno degli uomini più ricchi del Pianeta con un patrimonio di 21 miliardi dollari è un vero schiaffo per la Repubblica italiana visto che al-Minhad (vicino a Dubai) è stata per 20 anni il centro nevralgico di tutte le Missioni del tricolore in Iraq, nel Corno d’Africa e nell’Afghanistan. La sberla è arrivata dopo che lo scorso 21 gennaio il Governo giallo-rosso ha deciso di revocare del tutto – non di sospendere – le autorizzazioni all’export di missili e bombe verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, due Paesi che guidano la Coalizione sunnita contro gli Houthi, i ribelli sciiti dello Yemen sostenuti dall’Iran. La decisione assunta all’epoca dal Governo “Conte bis” e dall’attuale Ministro degli Esteri Luigi Di Maio (ormai totalmente isolato e ritenuto inaffidabile praticamente ovunque) sta causando gravi conseguenze nei rapporti bilaterali politici, militari e commerciali che valgono miliardi di dollari (sarebbero almeno quattro). E adesso che accadrà? Mentre il Premier italiano Mario Draghi grazie alla sua credibilità sta lavorando per ricucire lo strappo gli italiani aumenteranno la loro presenza in Kuwait e precisamente nella base aerea di Alì Al Salem anche se nessuno oggi è in grado di dire se nell’ambito della missione UE nello Stretto di Hormuz denominata European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASOH) guidata dai francesi, gli emiratini gradiranno la presenza di navi italiane.

Diplomazia italiana in mano ai 5Stelle

La crisi innescata con le potenze militari ed economiche del Golfo Persico è l’ultima dimostrazione dell’inadeguatezza a tratti comica di Luigi Di Maio capace di distruggere la credibilità delle Istituzioni italiane persino in Paesi storicamente amici. A chi si scandalizza occorre ricordare le prodezze del giovane Ministro da Pomigliano d’Arco (Napoli) capace di costruirsi una incredibile carriera politica nonostante un curriculum vitae nel quale il punto più alto è “ha lavorato per un breve periodo come webmaster per il quotidiano online La Provincia Online, per il quale ha anche scritto diversi articoli di cronaca sportiva”. A chi si stupisce di quanto accaduto con gli emiratini e i loro alleati occorre rinfrescare la memoria sulle molte gaffe all’estero (senza contare quelle in Patria) di Luigi Di Maio che proprio in questi giorni ha compiuto 35 anni. Per elencarle avremmo bisogno di un numero speciale de Il Mattino della Domenica così ci limitiamo a ricordarne alcune.

Svarioni imperdonabili

Nel settembre 2016 Di Maio da vicepresidente della Camera dei deputati scrisse un post su Facebook dove attaccava attacca il premier di allora, Matteo Renzi, paragonandolo ad Augusto Pinochet. Aldilà dell’assurdità del paragone nella prima versione del post, Di Maio parlò di Pinochet come un Generale del regime del Venezuela scambiandolo per il Cile. Poi qualcuno lo avvisò e corresse i post, ma la frittata era fatta. Poi, non pago, provoca la prima crisi diplomatica tra Italia e Francia dalla Seconda guerra mondiale, facendo imbestialire i francesi che richiamarono l’Ambasciatore a Roma. E perché? Insieme all’ex amico Alessandro Di Battista inizia un corteggiamento serrato ai gilet gialli che in quei giorni mettevano a ferro e fuoco Parigi demolendo persino l’ingresso di un palazzo del Governo nella capitale francese e già che ci sono si fa ritrarre con l’ex sodale “Dibba” insieme a Christophe Chalençon, il più estremista dei gilet jaune.

Gli errori di Di Maio… sembrano una barzelletta

Tornato in Italia dopo la lavata di capo del Presidente della Repubblica che in precedenza Di Maio aveva chiamato golpista e per il quale chiese la messa in stato di accusa, prova a rimediare scrivendo una lettera al quotidiano francese Le Monde nella quale parla della Francia come di un Paese con una “tradizione democratica millenaria”. Peccato che nei libri di scuola distribuito a Pomigliano d’Arco si sono dimenticati di inserire un piccolo dettaglio: in Francia nel 1789 scoppia la Rivoluzione che pone fine alla monarchia di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Altra figuraccia riportata dalla stampa internazionale. A questo punto chiunque si riposerebbe invece lui no; così durante un incontro ufficiale a Shanghai chiama “presidente Ping” il Segretario del Partito comunista cinese Xi Jinping, poi a stretto giro di posta afferma che “la Russia è un Paese del Mediterraneo”. Nemmeno il tempo di vedere tornare a Roma i militari italiani cacciati dagli emiratini che Luigi Di Maio si concentra sul conflitto israelopalestinese: “Abbiamo iniziative in corso con la Spagna. A fine luglio farò visita al nuovo Governo israeliano e poi andrò nei Territori palestinesi con la ministra spagnola Arancha Gozalez Laya”. Il piano del quale si è fatta promotrice anche l’Unione Europea attraverso Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, e con la folle proposta del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, sull’Iran al quale “andrebbero tolte le sanzioni”, per Gerusalemme è semplicemente irricevibile. Aldilà della proposta che non sta in piedi, in Israele basta nominare Josep Borrell, Antonio Guterres, o lo stesso Di Maio che l’atmosfera si fa improvvisamente gelida. Pare impossibile fare di peggio ma da qui alle prossime elezioni siamo sicuri che Luigi Di Maio saprà regalarci altre perle…

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