Quelli che da qualche giorno provano raccontarci che i talebani di oggi non sono i talebani degli anni 2000 ieri hanno avuto la prima conferma di cosa accadrà domani in tutto l’Afghanistan. Infatti, a Jalalabad una manifestazione di protesta indetta contro i barbuti ex studenti teologia è finita in tragedia: alcuni miliziani talebani hanno iniziato prima a picchiare i manifestati, poi a sparare sulla folla. Il bilancio parziale parla di tre morti e decine di feriti ma nessuno è in grado di sapere quanti sono i manifestati uccisi. La tensione nel Paese è altissima e nonostante gli sforzi dei talebani di apparire diversi da ciò che conosciamo la loro violenza è quotidianità: rastrellamenti casa per casa, pestaggi, omicidi, processi sommari (ad esempio, i ladri vengono giustiziati in piazza al grido di Allah è il più grande, i loro cadaveri esposti al pubblico per ore. E le donne per le quali in occidente non si inginocchia nessuno? Loro temono il peggio, fanno bene, perché i segnali non inducono all’ottimismo. Ad Herat e nel resto del Paese le ragazze e le bambine, sono rientrate tra i banchi di scuola, però vestite con il tradizionale hijab.
Intanto, la resistenza si sta riorganizzando in un luogo simbolico dell’Afghanistan. É nell’aspra valle del Panjshir, nord-est della capitale Kabul, un luogo circondato da montagne, per molti tratti inaccessibile, un luogo storicamente molto difficile da conquistare -i russi lo sanno bene- dove Ahmad Massoud, figlio del leggendario comandante Ahmad Shah Massoud (il Leone del Panjshir) e l’ex vicepresidente afgano Amrullah Saleh stanno organizzando la resistenza ai talebani che sarà certamente lunga e durissima. Da questa valle che non è mai caduta nelle mani dei talebani durante la guerra civile degli anni ’90, né un decennio prima in quelle dei sovietici, lunedì scorso in un articolo pubblicato dalla rivista francese La Règle du jeu, Massoud ha invocato la resistenza contro i talebani: ‹‹Io e i miei compagni d’armi daremo il nostro sangue, insieme a tutti gli afgani liberi che rifiutano la servitù e che invito a unirsi a me nella nostra roccaforte di Panjshir, l’ultima regione libera del nostro Paese morente››. Ma quanti sono gli uomini su cui possono contare il figlio del Leone del Panjshir, di etnia tagika, e l’ex vicepresidente Amrullah Saleh?
Al momento non sarebbero più di un centinaio. Coloro che prevedevano che nella valle sarebbero accorsi in migliaia si sono dovuti ricredere perché a queste latitudini ciò che conta oggi sono i soldi per pagare i miliziani e comprare armi, il cognome Massoud da solo non basta. Tra i Paesi che si interessano Massoud c’è sicuramente la Francia, ma è difficile che Macron interverrà in maniera concreta in Afghanistan perché fuori dai radar dell’Eliseo, specie con le elezioni presidenziali alla porta.
Chi fornirà alla resistenza anti-talebana missili, mezzi blindati, elicotteri e droni?
Gli americani al momento si sono chiamati fuori e difficilmente si faranno coinvolgere di nuovo, a meno di attacchi ad interessi americani. Dall’Europa arriveranno solo belle parole, mentre bisognerà vedere se qualcuno nel Golfo Persico risponderà agli appelli. Nessuno si illuda: senza soldi non ci sarà nessuna resistenza seria.Ma chi è Ahmad Massoud, nato nel 1989? Un combattente come suo padre? Presto per dirlo. Su di lui sappiamo che aveva 12 anni quando suo padre fu ucciso da al-Qaeda appena due giorni prima degli attentati dell’11 settembre a New York, dopo la fuga in Pakistan della famiglia ha trascorso molti anni all’estero frequentando le scuole superiori in Iran e diplomandosi alla prestigiosa Accademia Militare di Sandhurst in Inghilterra mentre a Londra ha conseguito un Master in Relazioni internazionali. Nel 2016 è tornato in Afghanistan dove suo padre era stato nominato eroe nazionale per Decreto presidenziale e dove l’immagine barbuta era visibile su qualsiasi cosa: dai cartelloni pubblicitari ai parabrezza, alle magliette e ai portachiavi.
Da quel momento Ahmad Massoud è intervenuto più volte nella politica del Paese, uno dei primi a mettere in guardia gli Stati Uniti sul fatto che se avessero deciso di ritirare frettolosamente le truppe perché ‹‹l’Afghanistan sarebbe caduto in un altro caos, in una spirale di violenza e nella guerra civile››.
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