Libano: torna l’elettricità ma il futuro è un mistero. Il Paese ha uno dei più alti debiti al mondo pari a circa il 170% del Pil (Mattino della Domenica 17.10.2021)

In Libano dopo giorni di passione ‹‹la rete è tornata a  lavorare normalmente››, così come ha dichiarato dall’agenzia stampa National News Agency il ministro dell’Energia, Walid Fayad. La ripresa della distribuzione dell’energia elettrica dopo il blackout generale dello scorso 9 ottobre che ha interessato  le due centrali di al-Zahrani e Deir Amar è stata possibile grazie all’intervento delle forze armate che le hanno rifornite con 6 mila litri di carburante presi dalle proprie riserve ma che basteranno per tre giorni. Successivamente, a distribuire l’elettricità ci penseranno altre due centrali, grazie ad un carico di carburante in arrivo dall’Iraq. Si tratta però di un intervento d’emergenza che non risolve certo il problema del Libano che da mesi vive questa emergenza che si somma alle altre: una tra tutte quella economica. Lo spegnimento e il conseguente collasso del sistema elettrico nazionale, è l’ennesima sventura in Paese che fatica da anni a mantenere i propri impegni sia con la popolazione che con le Istituzioni internazionali con le quali il neo Primo ministro Najib Mikati cerca attraverso il Fondo monetario internazionale denaro per tentare di  risollevare il Paese che paga ancora le conseguenze della misteriosa esplosione avvenuta il 4 agosto 2020 al porto di Beirut che provocò la morte di più di 200 persone oltre al ferimento di oltre 7.000. Una crisi quella che vive la ex “Svizzera del Mediterraneo” un tempo crocevia di trame, di grandi affari e dove convivono etnie e religioni diverse, che ha fatto sì che la lira libanese abbia perso il 90% del suo valore. Come sempre la crisi che investe oggi il Libano parte da molto lontano. I politici che hanno governato il paese dopo la guerra civile (1975-1990), sono stati di continuo accusati di corruzione e di non essere in grado di gestire gli affari correnti visto che hanno accumulato uno dei più alti debiti al mondo pari a circa il 170% del Pil (circa 90 miliardi di dollari). Un Paese il Libano per noi complicatissimo da spiegare che proviamo a comprendere grazie a Chiara Clausi, giornalista per Il Giornale, Panorama e altre testate nazionali che a Beirut vive dal 2016.

Cosa sta accadendo in Libano dove i problemi economici stanno causando anche lo spegnimento delle centrali elettriche?

Le due più grandi centrali elettriche del Paese, Deir Ammar e Zahrani, sono state chiuse a causa della mancanza di carburante. L’azienda statale libanese non aveva più dollari per acquistarlo sul mercato internazionale a causa della grave crisi economica che attraversa il Paese. Insieme fornivano circa il 40 per cento dell’elettricità. Il problema principale del Libano però è la classe dirigente. L’élite politica è corrotta e clientelare e si è appropriata di tutto il denaro statale. Dopo la rivoluzione di ottobre 2019, la “Thawra”, quando migliaia di persone hanno inondato Place des Martyrs chiedendo la fine del sistema settario che caratterizza il Paese e le dimissioni di tutti i principali leader politici tutto è andato sempre peggio. Alla crisi politica si sono aggiunti i problemi della pandemia da Covid-19, il sistema sanitario non è in grado di sostenere questa emergenza. La lira ha perso il 90 per cento del suo valore, è nato un mercato nero per il cambio del denaro, i prezzi di tutti i beni sono triplicati, la maggioranza dei libanesi vive ormai al di sotto della soglia di povertà.

Perché manca il carburante? C’è una disputa con l’Iraq principale fornitore e c’è la possibilità che tutto questo si risolva?

La mancanza di valuta estera, di dollari in particolare, ha reso difficile pagare i fornitori di energia esteri. Con l’Iraq era stato raggiunto un accordo che prevedeva uno scambio tra greggio e servizi medici e finanziari ma non è mai decollato. Le famiglie ricevono in media soltanto due ore di elettricità al giorno e molti libanesi dipendono da generatori privati che funzionano con il diesel, chiamato localmente mazut. Questi, tuttavia, sono diventati sempre più costosi da gestire a causa della mancanza di carburante. Il Libano però anche quando tutto sembra che stia per precipitare trova sempre una via di fuga. I libanesi sono stati in guerra civile per 15 anni dal 1975 al 1990, riescono in ogni situazione anche la peggiore a cavarsela. Anche l’Iran potrebbe intervenire in aiuto. Il Partito sciita alleato di Teheran, Hezbollah, sta negoziando per far arrivare in Libano altro carburante. Anche se i suoi avversari ritengono che questo sia un modo che il Partito di Dio sta utilizzando per ampliare la sua influenza sul Paese.

Non c’è solo il problema dell’elettricità perché secondo Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) 4 milioni di persone in Libano rischiano una grave carenza d’acqua o la completa interruzione dell’approvvigionamento di acqua potabile nei prossimi giorni se non verranno prese misure urgenti, aggiungendo che la maggior parte di questi sono bambini e famiglie povere. Come se ne esce?

L’unica via percorribile è chiedere il sostegno del Fondo monetario internazionale o dello storico protettore del Paese dei cedri, la Francia. Il neo premier Najib Mikati designato dopo un anno di trattative si è ripromesso di risolvere la crisi negoziando con le potenze estere. Il Fmi però chiede prima riforme sostanziali del sistema politico come l’abolizione del sistema settario e tutto ciò è molto difficile da realizzare.

Tutto questo accade in un Paese dove la crisi è anche politica: Chi comanda davvero in Libano ?

In Libano comandano i vari leader delle principali sette religiose, cioè cristiani, sciiti e sunniti. Si spartiscono le principali cariche istituzionali del Paese. Ai cristiani tocca il presidente della repubblica, ai sunniti spetta il premier e agli sciiti lo speaker del Parlamento. Tutti i libanesi fanno riferimento ai loro capi bastone per ottenere posti di lavoro, sussidi, sostegni di ogni genere. Durante la pandemia erano le sette che si preoccupavano di garantire le cure spesso a chi contraeva la malattia.

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