Lo scorso 24 marzo al largo della costa tunisina 34 migranti che erano a bordo di un barcone diretto sulle coste della Sicilia sono morti a seguito dell’affondamento della loro imbarcazione. Secondo quanto riferito dal portavoce del Tribunale di primo grado di Sfax (Tunisia), responsabile dell’ indagine, il barcone affondato – partito dalla costa della regione di Sfax verso l’Italia – aveva a bordo 38 migranti, quattro dei quali sono stati tratti in salvo. L’ennesima tragedia nel Mediterraneo mostra che nonostante le ricorrenti sciagure i trafficanti di esseri umani continuano a riempire i loro barconi diretti verso l’Italia. Andando avanti di questo passo l’estate che sta per arrivare rischia di passare alla storia per il numero di disperati che tenteranno di arrivare sulle coste italiane. Lo stesso potrebbe valere per il numero dei morti. Secondo le cifre del Viminale dall’inizio dell’anno sono arrivati in Italia 20.379 migranti, una cifra più che triplicata rispetto a un anno fa. Di questi, quelli di nazionalità tunisina sono 1.587 ma non è certo un mistero che da quella parte del Nord Africa partono persone di più nazionalità.
Ma cosa sta succedendo in Tunisia? La situazione economica della Tunisia continua a peggiorare, tanto che a febbraio l’inflazione ha toccato il 10,4%, ma se si prendono in considerazione i consumi alimentari il dato arriva al 15,6%. Il Governo tunisino ha annunciato uno stop ai prezzi su alcuni generi di prima necessità per tutto il mese del Ramadan (cominciatola sera del 22 marzo), un periodo nel quale i consumi delle famiglie aumentano. Il tasso di disoccupazione è al 15,3% mentre il debito pubblico ha toccato i 34 miliardi di euro (quasi il 100% del Pil), una circostanza che secondo alcuni analisti espone la Tunisia al default che potrebbe arrivare nei prossimi sei/nove mesi al massimo, con tutto ciò che potrebbe scatenare in un Paese dove secondo un recente sondaggio il 65% dei tunisini (7,5 milioni di persone) ha dichiarato di voler emigrare. Per evitare il disastro che si rifletterebbe anche sulle coste italiane da mesi la Tunisia sta trattando con il Fondo monetario internazionale (Fmi) un prestito pari a 1,9 miliardi di dollari, ma la trattativa non decolla perché Tunisi ha pochissime garanzie da offrire; inoltre l’Fmi oltre alle garanzie pretende che non vengano più erogati i sussidi per i carburanti e i generi alimentari, cosa che creerebbe enormi problemi alle famiglie e su questo argomento governo e opposizione hanno fatto fronte comune nel rifiutare le condizioni dettate dal Fmi. A peggiorare la situazione ci sono le mosse del presidente Kais Saied che governa con il pugno di ferro facendo arrestare critici e oppositori. Per Matteo Giusti, saggista e africanista, «sembra davvero lontanissimo quel 2011 quando la Rivoluzione dei Gelsomini infiammava le strade di Tunisi aprendo una nuova fase storica e dando inizio alle cosiddette Primavere Arabe.
Oggi la Tunisia è tornata indietro nel tempo ed il regime del presidente Kais Saied è ancora più autoritario ed oscurantista di quello di Ben Ali. Dopo la cacciata proprio di Ben Ali, che aveva governato lo stato maghrebino per 24 anni, i partiti di opposizione hanno cercato di coalizzarsi in vista delle presidenziali del dicembre 2011 dove è stato eletto un vecchio oppositore del regime Moncef Marzouki. L’eterogenea alleanza governativa che vedeva il partito islamista Ennahda, legato ai Fratelli Musulmani, come prima forza del paese con il 30% dei consensi ed il Congresso per la Repubblica, formazione progressista di sinistra principale alleato deludeva le aspettative dei tunisini che non vedevano migliorare la loro precaria condizione economica».
Nel 2014 Marzouki veniva sconfitto da un esponente del vero ancien regime e a quel punto -continua Matteo Giusti- «Beji Essebsi, ottantottenne ex ministro di Bourghiba negli anni ‘50, si trovò ad affrontare un’ondata di violenza ed attentati che misero in ginocchio il turismo, primaria fonte di introiti della Tunisia. Malato e stanco, Essebsi morì prima di terminare il mandato ed al suo posto fu eletto l’indipendente Kais Saied. Costui si presentava come lontano dai partiti, un simbolo dell’anti-politica, giurista e docente universitario e aveva promesso di portare avanti l’incompiuta rivoluzione. Dopo poco più di un anno di presidenza Saied ha prima congelato e poi sciolto il parlamento, così come il Consiglio Superiore della Magistratura, accentrando su di se ogni potere e trasformando la Tunisia in uno stato autoritario con un futuro sempre più incerto».